L’articolo 9 comma 5bis del Decreto Liquidità

Una nuova “passerella” [1]  dal concordato in bianco al piano di risanamento?

Nel seguente documento sono contenute alcune nostre prime annotazioni e riflessioni sulle modifiche in materia concorsuale introdotte dal comma 5bis dell’art. 9 della legge di conversione del cd. Decreto Liquidità.

Articolo 9 comma 5 bis D.L. 8.4.2020 n.23 inserito dalla legge di conversione 5.6. 2020 n.40    La legge di conversione del decreto liquidità [1] ha inserito un nuovo comma (5 bis) all’art.9 del decreto legge 8.4.2020 n.23, allo scopo di fornire un ulteriore strumento a quegli imprenditori (si ritiene saranno numerosi) che si troveranno a breve ad affrontare una situazione di crisi.   Il nuovo art.9 comma 5 bis così dispone: Il debitore che, entro la data del 31 dicembre 2021, ha ottenuto la concessione dei termini di cui all’articolo 161, sesto comma, o all’articolo 182 bis settimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942 n.267, può, entro i suddetti termini, depositare un atto di rinuncia alla procedura, dichiarando di avere predisposto un piano di risanamento ai sensi dell’art.67 terzo comma lett. d del medesimo regio decreto n.267 del 1942 pubblicato nel registro delle imprese, e depositando la documentazione relativa alla pubblicazione medesima. Il tribunale, verificate la completezza e regolarità della documentazione, dichiara l’improcedibilità del ricorso presentato ai sensi dell’art.161 sesto comma o dell’art.182-bis settimo comma, del citato regio decreto n.267 del 1942”. 
La portata della disposizione : misure protettive e automatic stay  nelle more di elaborazione del piano di risanamento  Si tratta di un singolare innesto del già noto piano di risanamento (previsto, come caso di esenzione dall’azione revocatoria, dall’art.67 III comma lett. d L.F.) nella fase cosiddetta “in bianco” o “prenotativa” del concordato preventivo ex art.161 VI comma L.F. A seguito degli interventi del 2012 sulla legge fallimentare, la domanda di concordato “in bianco” poteva alternativamente evolvere, nei termini assegnati dal Tribunale, solo verso un concordato preventivo pieno (a seguito del deposito del piano e della proposta concordataria ai creditori) o verso un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182 bis L.F (in caso di deposito di ricorso per l’omologa di tale accordo). Il transito da uno strumento all’altro di composizione della crisi era stato metaforicamente descritto da autorevole dottrina come una “passerella[2], in quanto caratterizzato dalla conservazione degli effetti spiegati dalla presentazione della domanda originariamente svolta. La nuova disposizione soprariportata consente, ora, all’imprenditore di optare (entro il termine assegnato dal Tribunale a seguito della domanda di concordato in bianco ai sensi dell’art.161 VI comma L.F.) anche per l’adozione di un piano di risanamento aziendale, previa rinuncia alla domanda di  concordato e deposito al Tribunale  della documentazione di avvenuta pubblicazione al registro imprese del piano in questione. Lo scopo evidente del legislatore della fase 2 è quello di consentire espressamente anche alle attività preparatorie di un piano di risanamento (strumento di natura squisitamente negoziale e privata, che non prevede alcun coinvolgimento del Tribunale) di fruire della protezione dalle azioni esecutive e cautelari dei creditori tipica degli strumenti concorsuali di composizione della crisi (concordato preventivo e accordi di ristrutturazione).   L’impresa in difficoltà potrebbe così beneficiare, per espressa previsione normativa, di un automatic stay di durata non trascurabile (dai 60 ai 120 giorni, prorogabili per giustificati motivi di ulteriori 60 giorni) per poter approntare, con la stabilità offerta da tale protezione, un piano di risanamento ed eventualmente negoziare accordi connessi con i creditori. Il periodo di protezione non verrebbe “minacciato” nemmeno dall’eventuale presentazione di istanze di fallimento, perché il nuovo art.9 comma 5 ter del Decreto legge dispone la sterilizzazione dell’art.161 decimo comma L.F.[3] che non si applica se il ricorso in bianco ex art.161 VI comma L.F. sia stato presentato entro il 31.12.2020. Lo strumento introdotto dall’art.9 comma 5 bis ha valenza temporanea, perché è utilizzabile solo qualora il debitore abbia ottenuto la concessione dei termini da parte del Tribunale ex art.161 VI co L.F. entro il 31.12.2021. Il passaggio al piano di risanamento può operare anche partendo da una domanda relativa ad accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora il debitore abbia presentato l’istanza protettiva di pre-accordo ex art.182 bis VI e VII comma L.F. (anche se, in ragione della maggiore complessità degli adempimenti richiesti, questa opzione resta poco praticata e di minor interesse).   
Quale utilità del nuovo strumento?      A prima vista, lo strumento in esame non sembra, tuttavia, apportare una vera nuova utilità: si è giustamente osservato[4] che, in fondo, anche prima della norma in esame, nulla impediva che di fatto si potesse (anche se con qualche criticità e rischio di abuso dello strumento concordatario) presentare un ricorso in bianco ex art.161 VI comma L.F. e poi rinunciarvi, avendo, nel frattempo, definito un piano di risanamento.  
Ibridazione concorsuale del piano di risanamento e gli obblighi di pubblicità al registro imprese    E’ comunque evidente che si vada così verso l’ibridazione concorsuale del piano di risanamento aziendale, che era uno degli ultimi strumenti di composizione della crisi di matrice privatistica e stragiudiziale, per ciò sottratto ai vagli (più o meno intensi) del Tribunale, oltre che a forme obbligatorie di pubblicità (la pubblicazione del piano di risanamento al Registro Imprese, adempimento  prima facoltativo ed effettuato per lo più ai fini fiscali, è ora espressamente richiesto dall’art.9 comma 5 bis).   
    Conseguenze, conservazione degli effetti  e dubbi operativi    L’ipotesi in esame, tanto più ora che è stata così sinteticamente normata, non è poi scevra da conseguenze e dubbi operativi. Se tra i (limitati) benefici si deve indicare l’accesso alle misure protettive contro le aggressioni dei creditori conseguenti all’apertura di una procedura di pre-concordato, va però anche considerato che, appunto, si abbandona così il terreno riservato e privatistico della libertà negoziale per entrare nella logica di una procedura concorsuale (ancorché minore), sicché, anche in tale ipotesi, dovrebbero, ad esempio, venire in considerazione:   la nomina di un pre-commissario giudiziale da parte del Tribunale per la fase in bianco;l’assolvimento durante la fase in bianco degli obblighi informativi periodici nei confronti del Tribunale;[5] i vincoli operativi sugli atti di straordinaria amministrazione compiuti da parte dell’impresa richiedente, che sarebbero inefficaci nei confronti dei creditori se non autorizzati dal Tribunale;il divieto di pagamento dei crediti anteriori alla domanda e il rispetto del principio della par condicio creditorum;il sorgere di nuovi debiti di rango potenzialmente prededucibile ex art.161 VII comma L.F. in un eventuale successiva procedura concorsuale che possa dirsi “consequenziale” alla domanda di concordato poi rinunciata;l’iniziativa del pubblico ministero per la dichiarazione di fallimento qualora sussista uno stato di insolvenza e alla rinuncia del ricorso ex art.  161 VI comma L.F non faccia seguito il risanamento dell’impresa. Si tratta di temi operativi non trascurabili, tanto più se si considera che l’art.9 comma 5 bis nulla prevede in merito alla conservazione (o meno) degli effetti spiegati dalla domanda di concordato in bianco ex art.161 VI L.F.,  a seguito della rinuncia della domanda e della conseguente pronuncia di improcedibilità da parte del Tribunale. E ciò diversamente da quanto previsto dagli artt.161 VI comma e 182 bis VIII comma L.F. in caso di “passerella” dal concordato preventivo all’accordo di ristrutturazione dei debiti (o viceversa),  che espressamente dispongono la conservazione degli effetti prodotti dal ricorso originario.  

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[1] Legge 5 giugno 2020 n.40 pubblicata in Gazz. Ufficiale il 6.6.2020.

[2] V. nota 1

[3] L’art.161 decimo comma L.F.  prevede che in presenza di una istanza di fallimento, il termine concesso dal Tribunale non possa superare i 60 giorni, prorogabili al massimo di soli 60 giorni in caso di giustificati motivi.

[4] Stefano Ambrosini “La rinuncia al concordato preventivo dopo la legge (n.40/2020) di conversione del Decreto liquidità: nascita di un ircocervo”? pubblicato su www. Il Caso.it del 10 giugno 2020; così anche Maurizio Irrera “Le novità in tema di procedure concorsuali nella conversione in legge del decreto liquidità (ovvero di quando i rimedi sono peggiori del male o inefficaci)” sempre su www. Il Caso.it del 3 giugno 2020.

[5] La questione non è pacifica: si vedano gli autori citati alla nota precedente.


[1] L’espressione è stata efficacemente utilizzata da Massimo Fabiani nel noto articolo “La passerella reciproca fra accordi di ristrutturazione e concordato preventivo”, pubblicato il 16 gennaio 2013 su www. Il Caso.it.  

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