Coronavirus: l’impatto sui contratti di locazione ad uso non abitativo e sui contratti di affitto d’azienda

I provvedimenti adottati da parte del Governo e dal Presidente del Consiglio dei Ministri a partire dall’8 marzo 2020 hanno determinato la sospensione di una molteplicità di attività industriali e commerciali (le attività professionali sono state “graziate” salvo in alcune zone del territorio ove le autorità locali ne hanno disposto comunque la sospensione). Con l’aggravarsi della situazione epidemiologica l’ampiezza del c.d. lockdown è aumentata di settimana in settimana e si è passati da un’identificazione puntuale delle imprese da cessare ad una sospensione generalizzata di qualsiasi attività fatta eccezione per quelle ritenute essenziali. A ciò è conseguito il divieto di movimento e, dunque, di accesso ai locali ove tali attività sono svolte, tranne che per l’esercizio delle stesse con modalità a distanza.

Ciò ha determinato la sostanziale inutilizzabilità per causa di forza maggiore[1] di una serie di immobili adibiti all’esercizio di tali attività e, quindi, ha causato delle importanti ripercussioni economiche sui conduttori che si sono visti privati di alcuni proventi, talvolta gli unici, della propria impresa. Tale situazione si sta riflettendo inevitabilmente nei rapporti tra i conduttori ed i locatori degli immobili con i primi che in un’ottica di breve periodo avanzano la pretesa di vedere ridotto o sospeso (i.e. non pagare) il pagamento del canone di locazione e, in un’ottica di medio periodo, ragionano sulla possibilità di rinegoziare i termini contrattuali o, addirittura, di sciogliere i contratti in essere. Ovviamente a tali richieste si oppongono quelle dei locatori che chiedono il pieno adempimento del contratto e il mantenimento dello stesso a condizioni immutate.

In questo breve intervento si proverà ad analizzare il fondamento delle rispettive pretese con la precisazione che i ragionamenti che svilupperemo potrebbero mutare alla luce dei provvedimenti futuri che saranno adottati da parte delle Autorità.

In tal senso l’articolo 65 del decreto c.d. “Cura Italia” ha introdotto una misura di sostegno a favore degli esercenti attività di imprese diversi da quelli ai quali è stato consentito il proseguimento dell’attività e per i soli immobili rientranti nella categoria C/1 (negozi e botteghe). Tale misura consiste in un credito di imposta pari al 60% del canone di locazione del mese di marzo. Questa previsione – che seguendo la ratio che ne è alla base potrebbe essere estesa temporalmente ed ampliata a tutti gli esercenti le cui attività siano state interrotte dopo l’entrata in vigore del decreto, nonché forse a forme contrattuali che in alcuni casi sono sostanzialmente affini alla locazione ovvero ai contratto di affitto di azienda o di rami d’azienda – ha come presupposto il versamento del canone di locazione (come peraltro specificato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 8/E del 2020 che ha chiarito che il credito di imposta spetta a chi abbia effettivamente pagato il canone dovuto) e, quindi, la continuazione del rapporto. Riteniamo, dunque, che il conduttore che decida di avvalersi di tale credito non possa poi chiedere la sospensione dell’obbligo di pagamento del canone.

1. I rimedi nel breve termine. Il pagamento del canone

Il primo tema che si pone è quello relativo al diritto del conduttore la cui attività sia stata sospesa di interrompere il pagamento del canone di locazione dell’immobile che è condotto per l’esercizio della stessa.

Tale possibilità, che è potenzialmente esercitabile solo nel breve periodo – ovvero sino al termine di efficacia delle misure restrittive in essere –, potrebbe riguardare molti rapporti poiché, in attesa dell’erogazione di nuova finanza, le misure contenitive hanno provocato un’immediata e diffusa carenza di liquidità nella maggior parte delle imprese che si trovano, dunque, in difficoltà nel pagare i canoni dovuti o interessate a utilizzare le proprie riserve per fare fronte ad altri costi.

In assenza di una auspicabile previsione normativa a riguardo ed alla luce dei primi orientamenti dottrinali sviluppatisi sul punto, riteniamo che la possibilità di sospendere il pagamento del canone potrebbe trovare fondamento sulla base di due ordini di considerazioni.

Il primo parte dal presupposto che la principale obbligazione in capo al locatore sia quella di mettere a disposizione del conduttore un immobile idoneo all’uso convenuto. Laddove il bene, anche per cause di forza maggiore come nel caso de quo, divenga totalmente o parzialmente inutilizzabile[2] si verificherebbe l’impossibilità temporanea in capo al locatore di adempiere tale obbligo. A fronte di ciò il conduttore potrebbe ricorrere al rimedio di cui all’articolo 1464 del Codice Civile ovvero accettare la prestazione ridotta da parte del locatore a fronte di una corrispondente riduzione, in caso di impossibilità parziale, o azzeramento, in caso di impossibilità totale, del canone dovuto. Del resto il concetto di parziale impossibilità della prestazione prevista dall’articolo 1464 del Codice Civile ben si presta ad essere interpretato nei contratti di durata come una temporanea impossibilità di messa a disposizione dell’immobile ovvero come un deterioramento su un piano temporale della prestazione (Bianca, La responsabilità, Giuffrè, pag. 374) dal quale consegue il diritto del conduttore a vedere ridotto o azzerato il canone.

La tesi di cui sopra potrebbe essere respinta dal locatore opponendo il fatto che la sua obbligazione sia solo quella di garantire la disponibilità dell’immobile e non la sua utilizzabilità all’uso convenuto e che tale disponibilità non è venuta meno in conseguenza dei provvedimenti restrittivi adottati che, tra l’altro, mantengono invariata la possibilità di esercitare alcune attività. Il locatore può, quindi, sostenere che la destinazione dell’immobile è rimasta inalterata, mentre è l’esercizio dell’impresa ad essere stato impedito. Poiché però i rischi relativi a tale esercizio, ivi inclusi quelli derivanti dalla sospensione dello stesso, ricadono sul conduttore quale titolare dell’attività d’impresa il locatore potrebbe sostenere di non dovervi partecipare e potrebbe pretendere di rimanere estraneo alle vicende che attengono tale attività chiedendo, dunque, il regolare pagamento del canone.

Nel contesto di cui sopra – in cui entrambe le posizioni ci paiono ragionevoli – un ulteriore strumento di analisi è quello della causa concreta del contratto, così come risultante dagli accordi tra le parti. Se la funzione economico sociale del contratto di locazione consiste nella messa a disposizione di un bene da parte del locatore ed a favore del conduttore affinché quest’ultimo lo possa utilizzare per un determinato scopo (i.e. l’esercizio di una determinata attività), l’impossibilità di utilizzo a quel fine potrebbe fare venire meno la causa del contratto e l’interesse del conduttore a ricevere la prestazione da parte del locatore e, dunque, renderebbe ingiustificato il pagamento del canone da parte del conduttore stesso. In tal senso richiamiamo alcune sentenze della Corte di Cassazione che nell’esaminare quando occorra l’impossibilità sopravvenuta della prestazione equiparano l’impossibilità dell’adempimento da parte del debitore all’impossibilità di utilizzazione della stessa ad opera della controparte. Anche quest’ultima, in sostanza, sarebbe idonea a giustificare il ricorso agli strumenti previsti in caso di impossibilità della prestazione (Cass. Civ. 8766/2019 e Cass. Civ. 20811/2014). Un tale approccio richiede un esame prudente del contratto di locazione e delle singole situazioni, al fine di verificare se dallo stesso si possa desumere il riferimento all’esercizio di una particolare attività (interrotta a seguito dei provvedimenti in essere) da parte del conduttore quale causa fondante il rapporto di locazione.

Il secondo ordine di considerazioni che potrebbero essere avanzate dal conduttore si fonda su una rilettura dell’applicazione del concetto di impossibilità sopravvenuta applicata alle prestazioni di pagamento di una somma in denaro. Difatti è principio consolidato nel nostro ordinamento che l’obbligazione di pagamento non può mai per sua natura divenire impossibile e, dunque, il debitore di un’obbligazione pecuniaria non può pretendere di essere esonerato da responsabilità nel caso in cui non riesca a far fronte al pagamento del proprio debito.

Tale principio, però, potrebbe oggi essere messo in discussione in base alla previsione contenuta all’articolo 91, 1° comma del decreto c.d. cura Italia con cui il legislatore precisa che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore”. La relazione di accompagnamento recita che il “comma 1 è finalizzato a chiarire che il rispetto delle misure di contenimento può escludere, nei singoli casi, la responsabilità del debitore ai sensi dell’articolo 1218 c.c.”.

Il fatto che la norma parli genericamente di responsabilità del debitore, senza un distinguo rispetto alla tipologia di obbligazioni inadempiute, deve fare riflettere sulla possibilità che anche il mancato pagamento del canone di locazione, ove sia una conseguenza degli effetti delle misure di contenimento, possa costituire un inadempimento non imputabile al conduttore e, quindi, non sia fonte di responsabilità per quest’ultimo e non possa fondare domande di risoluzione del rapporto da parte del locatore o azioni volte ad ottenere lo sfratto per morosità[3]. Anche in questo caso, però, il locatore potrebbe opporre che la norma di cui sopra tutela il conduttore rispetto alla possibilità di risolvere il rapporto in caso di mancato pagamento ed al rischio di essere considerato responsabile delle relative conseguenze risarcitorie, mentre non comporta il diritto da parte del conduttore stesso di non procedere al versamento del canone di locazione e, quindi, non limita la possibilità del locatore di chiedere tale adempimento.

In un contesto quale quello di cui sopra riteniamo che occorrerà che le parti, per affrontare eventuali divergenze, cerchino un equilibrio di interessi ricorrendo all’applicazione dei principi di correttezza e buona fede che, se governano il rapporto nella sua fase di formazione e di fisiologico svolgimento, a maggior ragione debbono operare in quelle situazioni in cui la stabilità dello stesso è messa in discussione per cause esterne ed indipendenti dalla volontà delle parti. La conservazione del rapporto contrattuale dovrebbe, dunque, indurre entrambe le parti a discutere  eventuali misure temporanee volte a tutelare il sinallagma contrattuale e l’equilibrio di interessi che era stato originariamente trovato nelle previsioni  contrattuali.

2. I rimedi nel medio termine. L’eccessiva onerosità sopravvenuta e il recesso per gravi motivi

Sul medio termine gli effetti dell’epidemia in corso potrebbero riflettersi sui contratti di locazione con conseguenze differenti a seconda dell’impatto, da verificare in concreto e caso per caso, sulla gravosità del negozio e sulla sua sostenibilità da un punto di vista economico. È difatti verosimile che le misure di distanziamento che saranno prese nella c.d. Fase 2 dell’emergenza e nelle fasi di un prevedibilmente lungo riavvicinamento alla “normalità” e che determineranno una riduzione dei flussi soprattutto nei grandi centri commerciali che sono i luoghi più esposti ai rischi di assembramento, porteranno a stabilizzare comunque minori volumi delle vendite, che si accompagnerà peraltro ad una riduzione dei consumi, generata dalla situazione recessiva che attraverserà l’economia. L’impatto di tali misure e anche delle percezioni nei consumatori, potrebbe nel lungo periodo causare un vero e proprio stabile cambiamento delle abitudini di consumo degli italiani con l’aumento degli acquisti online , con la ripresa delle vendite degli esercizi di vicinato e con effetti, ad oggi non prevedibili, sulle strutture commerciali fisiche e sulla loro evoluzione.

Anche in tale caso è presumibile che sia il conduttore ad avanzare richieste nei confronti del locatore al fine di rinegoziare il contenuto negoziale o, addirittura, ottenere lo scioglimento dal vincolo contrattuale qualora lo stesso non sia più sostenibile. È il conduttore, difatti, che quale esercente dell’attività commerciale potrebbe essere gravemente impattato dagli effetti economici derivanti dalle attuali misure o da quelle che saranno adottate nella c.d. fase 2 nella quale la ripresa delle attività potrebbe avvenire gradualmente e con limitazioni, quali ad esempio il contingentamento degli ingressi negli esercizi commerciali, che se adottate avranno presumibilmente un riflesso economico negativo sulle attività in corso.

Il primo strumento astrattamente a disposizione del conduttore è quello dell’eccessiva onerosità sopravvenuta regolata dall’articolo 1467 c.c. che prevede che quando la prestazione di una delle parti è diventata eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve effettuare la prestazione può domandare la risoluzione del contratto. A fronte di una domanda da parte del conduttore di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, il locatore potrà evitare l’effetto risolutivo offrendo di modificare le condizioni del rapporto in modo da “riequilibrare” le prestazioni. L’eventuale trattativa da instaurarsi dovrà essere regolata dai principi di correttezza e buona fede con l’obiettivo di ripristinare l’equilibrio originario.

Per configurare un’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione è necessario che gli avvenimenti straordinari ed imprevedibili lamentati determinino un aggravio patrimoniale che alteri, sostanzialmente, l’originario rapporto di equilibrio del negozio, incidendo sul rapporto di valore di una prestazione rispetto all’altra, ovvero facendo diminuire o cessare l’utilità della controprestazione.

In questo senso sia il Covid-19 che i provvedimenti dell’autorità sono astrattamente idonei a consentire l’applicazione dell’istituto in questione poiché si tratta di cause di forza maggiore sopravvenute ed imprevedibili, ma, contestualmente, è necessario l’accertamento del sostanziale aggravamento dell’onere della prestazione. Nei contratti di locazione come in tutti i rapporti di durata tale aggravio deve essere verificato avendo a mente la durata complessiva del rapporto e in tal senso pare ad oggi difficile, o quantomeno prematuro, sostenere che i provvedimenti di natura provvisoria in essere siano in grado di impattare in maniera rilevante sulle condizioni del negozio nel suo complesso e considerato nella sua completa estensione temporale.

Ogni ragionamento sull’applicabilità dell’istituto in questione e l’eventuale rinegoziazione definitiva del contratto dovrebbe, dunque, essere rimandata ad una fase successiva quando saranno chiari gli effetti della situazione di crisi in corso e quando verranno adottati provvedimenti restrittivi di durata maggiore rispetto a quelli attuali o che comunque, sommati a quelli attuali, impattino in maniera rilevante anche sui rapporti di lungo termine.

Allo stato pare più opportuno negoziare e gestire la situazione emergenziale con soluzioni di breve periodo rimandando ad una fase successiva la discussione sull’eventuale revisione definitiva delle condizioni contrattuali in essere.

Il secondo strumento a disposizione del conduttore potrebbe essere quello del recesso per giusta causa previsto dall’articolo 27, comma 8, della L. 27/1972 che consente al conduttore di recedere dal rapporto laddove intervengano dei gravi motivi.

I gravi motivi consistono in avvenimenti sopravvenuti, estranei alla volontà del recedente e imprevedibili che determinino, anche in questo caso, uno squilibrio tra le reciproche prestazioni.

I presupposti e le criticità per l’esercizio di tale rimedio sono, dunque, analoghe a quelle che abbiamo analizzato per quanto riguarda l’eccessiva onerosità sopravvenuta con la differenza che il recesso impone un preavviso di sei mesi durante il quale il canone dovrà essere corrisposto e che lo stesso costituisce un atto unilaterale produttivo dello scioglimento del contratto che non consente, dunque, al locatore di evitare tale conseguenza nemmeno offrendo la revisione delle condizioni contrattuali. Il locatore, dunque, potrà contestarne la validità avviando un giudizio volto alla conservazione del rapporto.

3. Affitto d’azienda

Il decreto c.d. “Cura Italia” non è specificatamente intervenuto in materia di contratti di affitto d’azienda o di ramo d’azienda per i quali non opera il disposto di cui all’articolo 65 del suddetto decreto relativo alla locazione.

Eppure la fattispecie del contratto di affitto d’azienda è piuttosto diffusa nella pratica e, nella maggior parte dei casi, riguarda compendi aziendali comprensivi della disponibilità di uno o più immobili. Accade talvolta che la mera messa a disposizione dell’immobile sia vestita con i panni del contratto di affitto d’azienda che, come noto, è una formula contrattuale meno gravosa per il concedente.

I ragionamenti sopra svolti in materia di locazione, ad eccezione di quelli riferiti al recesso per gravi motivi che è un istituto specificatamente previsto per quel rapporto, possono essere applicati anche al contratto di affitto d’azienda e/o di ramo d’azienda. In tali casi oggetto del contratto è l’attività d’impresa (i.e. il complesso di beni e rapporti nella loro dinamicità) che è concessa in affitto dal concedente all’affittuario e, quindi, l’eventuale impedimento di tale attività incide direttamente sull’oggetto del contratto, rendendolo inutilizzabile e vanificando la causa dello stesso.

In tale caso, dunque, l’inidoneità dell’azienda rispetto ai fini per i quali è stata affittata (i.e. il suo esercizio) potrebbe integrare un’impossibilità temporanea della prestazione da parte del concedente o, comunque, potrebbe determinare il venir meno dell’utilità funzionale costituente la causa in concreto del rapporto. Ciò potrebbe giustificare il rifiuto da parte del conduttore di corrispondere il canone pattuito, in tutto o in parte a seconda che l’esercizio sia totalmente o solo parzialmente precluso.

Nel medio periodo al contratto di affitto d’azienda o di ramo d’azienda potrebbe essere applicato l’articolo 1463 del Codice Civile, sulla base delle medesime considerazioni già sviluppate per quanto riguarda il contratto di locazione. Anche in tale caso, dunque, occorrerà verificare nel caso concreto l’impatto delle misure attuali e future rispetto alla sostenibilità del rapporto.

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Lo studio resta a disposizione per ogni eventuale chiarimento in merito al Decreto ed ai recenti interventi governativi.


[1] Sulla qualificazione del Covid 19 quale causa di forza maggiore si vedano i nostri precedenti interventi dell’11 e del 20 marzo u.s.

[2] Riteniamo che si possa parlare di impossibilità totale laddove l’immobile sia completamente inutilizzabile ovvero parziale laddove residui una limitata utilizzabilità dello stesso (si pensi al caso dei ristoranti che utilizzino la cucina dell’immobile per preparare i pasti da consegnare a domicilio).

[3] Si veda in tal senso Cuffaro in Le locazioni commerciali e gli effetto giuridici dell’epidemia, Giustiziacivile.com.


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